mercoledì 21 giugno 2017

2017 20 GIUGNO PENALE SENT. SEZ. 1 NUM. 30323 ANNO 2017 PRESIDENTE: CORTESE ARTURO RELATORE: SANDRINI ENRICO GIUSEPPE DATA UDIENZA 06 10 2016 CORTE DI CASSAZIONE INAMMISSIBILITA’ SENTENZA 4 2014 CORTE ASSISE PALERMO OMICIDIO MAFIOSO DI VINCENZO ENEA BRUNO FRANCESCO





2017
 20 GIUGNO Penale Sent. Sez. 1 Num. 30323
Anno 2017 Presidente: CORTESE ARTURO Relatore: SANDRINI ENRICO GIUSEPPE   Data Udienza 06 10 2016 Corte di Cassazione

INAMMISSIBILITA’ SENTENZA 4 2014 CORTE ASSISE PALERMO OMICIDIO MAFIOSO DI
VINCENZO ENEA  BRUNO FRANCESCO   

SENTENZA sul ricorso
proposto da:

BRUNO FRANCESCO N. IL
27/05/1951 avverso la sentenza n. 4/2014 CORTE ASSISE APPELLO di PALERMO, del
19/02/2015 visti gli atti, la sentenza e il ricorso udita in PUBBLICA UDIENZA
del 06/10/2016 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ENRICO GIUSEPPE
SANDRINI Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. MARIA FRANCESCA LOY
che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso  

L’Avvocato Luigi Pace per
la parte civile ENEA PIETRO si associa alle conclusioni del Procuratore  Generale dichiarando che ai ricorso sia
dichiarato inammissibile in subordine rispettato

L’avvocato Marchi per le altre parti civili si associa
L’Avvocato Luciano Termini, difensore dell’imputato
chiede l’accogliento dei motivi del ricorso ai quali si riporta

L’Avvocato Gioacchino Sbacchi, difensore dell’imputato,
chiede l’accoglimento del ricorso

Udito, per la parte civile, l'Avv
Udit i  i
difensori  Avv

RITENUTO IN FATTO 1. Con
sentenza pronunciata il 19.02.2015 la Corte
d'assise d'appello di Palermo ha confermato la sentenza
in data 22.05.2013
con cui il GIP del Tribunale di Palermo, all'esito di
giudizio abbreviato, aveva condannato Bruno Francesco alla
pena di anni 30 di reclusione, oltre pene e
statuizioni accessorie e oltre alle pronunce risarcitorie in favore delle parti
civili costituite, per il delitto di omicidio di Enea
Vincenzo
, aggravato dalla premeditazione e dall'aver commesso il fatto,
in concorso con altri, durante la latitanza conseguente a mandato di cattura
emesso nei suoi confronti. L'omicidio era stato commesso poco prima delle 8.00 del mattino dell'8.06.1982 in Isola
delle Femmine, davanti al lido balneare "Villaggio Bungalow",
di
proprietà della vittima, dove il cadavere dell'Enea era stato rinvenuto attinto
da numerosi colpi d'arma da fuoco. Le fonti di
prova della responsabilità dell'imputato, valorizzate dalla sentenza d'appello,
sono costituite essenzialmente dalle dichiarazioni del
figlio della vittima, Enea Pietro, corroborate da quelle dei collaboratori di
giustizia Mutolo Gaspare, Onorato Francesco e Naimo Rosario
, che avevano
reso in tempi diversi propalazioni de relato sulla causale del delitto e sui
suoi autori (provenienti tutte da soggetti intranei all'associazione mafiosa e
occupanti nella stessa un ruolo di primo piano), nonché dai riscontri tratti
dalle dichiarazioni di altri familiari della vittima e dagli accertamenti di
p.g.. Enea Pietro, che all'epoca collaborava col
padre nella sua attività di imprenditore edile, aveva riferito ai carabinieri
nell'immediatezza del fatto che la mattina del delitto, dopo essere uscito a
pesca verso le 6.00, nel passare davanti al bungalow dove doveva incontrare il
padre, aveva notato ferma a circa 200 metri
dall'ingresso una vettura Fiat 124 di colore bianco
, che non aveva più
rivisto quando era ripassato sui luoghi dopo circa dieci minuti, allorché aveva
trovato il cadavere del padre appena ucciso;
in tale occasione aveva
precisato, senza tuttavia voler verbalizzare - allora - le sue dichiarazioni,
che a bordo della Fiat 124 vi erano quattro persone, di
una delle quali aveva descritto le fattezze, che lo avevano guardato con
circospezione, una anche additandolo agli altri occupanti della vettura.
La
reticenza inizialmente dimostrata da Enea Pietro era stata attribuita dai
carabinieri al clima di intimidazione e di omertà che
aveva caratterizzato fin dall'inizio le indagini
, condizionando anche
l'atteggiamento dichiarativo del teste e inducendolo a non collaborare per
timore di ritorsioni in danno dei propri familiari; la verosimile causale
dell'omicidio era stata individuata nell'attività di impresario edile della
vittima e nei contrasti insorti con gli interessi di soggetti appartenenti alla
criminalità organizzata operanti nel settore.
Enea Pietro aveva reso
nuove dichiarazioni il 9.05.2000, nelle quali
precisava di aver riconosciuto senza ombra di dubbio, tra le persone presenti a
bordo della Fiat 124 (indicata come di colore beige) che aveva visto nei pressi
del villaggio bungalow verso le 7.30 del mattino del
giorno in cui il padre era stato ucciso, Bruno Francesco, all'epoca latitante,
il quale lo aveva salutato
; indicava il movente dell'omicidio nelle
attività imprenditoriali del padre, che aveva rifiutato
la proposta dell'imputato di diventare suo socio occulto per consentirgli di
investire denaro nell'edilizia, nonché nel contrasto insorto con la società
BBP, costituita da Bruno Giuseppe, Bruno Pietro (entrambi parenti
dell'imputato) e Pomerio Giuseppe, proprietaria di un fabbricato denominato
Costa Corsara edificato su un terreno limitrofo a quello sul quale Enea
Vincenzo aveva costruito una palazzina, di cui non riusciva a vendere gli
appartamenti perché il fabbricato della BBP aveva ecceduto la cubatura
consentita,
appropriandosi di un terreno che doveva costituire oggetto
di permuta con l'Enea e impedendo così il perfezionamento del negozio, fino a
provocare il fallimento dell'impresa della vittima;

nel corso della
conseguente lite giudiziaria con la BPP, Enea Vincenzo
aveva subito atti intimidatori, come incendi e danneggiamenti, che lo avevano
indotto ad avvicinarsi, per tentare una mediazione, all'imprenditore edile
D'Agostino Benedetto, a sua volta ucciso
. Enea
Pietro
riferiva altresì di essere stato minacciato
di morte
a seguito della ricerca di informazioni sull'omicidio del
padre, in particolare mediante una telefonata anonima ricevuta dalla madre, che
lo avevano indotto ad allontanarsi da Isola delle Femmine per timore di
ritorsioni;

le minacce subite avevano
trovato conferma nelle dichiarazioni dei familiari dell'Enea (la madre, le sorelle,
il fratello), che avevano riferito di aver appreso dal loro congiunto il
coinvolgimento dell'imputato nel delitto, nonché le relative causali nella lite con la società BPP e le intimidazioni
subite da Enea Vincenzo prima di essere ucciso
. Mutolo
Gaspare
, nelle conformi dichiarazioni da lui rese il 14.07.1993 e il
7.05.2010, aveva riferito che l'omicidio dell'Enea era stato deciso perché la
vittima non rispettava le sollecitazioni della famiglia mafiosa locale,
capeggiata da Riccobono  Rosario, e di aver appreso dal Riccobono e da altri sodali le relative modalità
organizzative ed esecutive in occasione di riunioni avvenute il giorno
precedente e nella stessa tarda mattinata del delitto nella
villa del Riccobono
, venendo a conoscenza che del gruppo di fuoco aveva
fatto parte l'imputato. Onorato Francesco aveva
riferito a sua volta di aver appreso dal Riccobono che
Bruno Francesco era un soggetto a lui vicino negli anni 1982-1983, attivo nella
zona di Isola delle Femmine, e che l'omicidio dell'Enea era stato voluto dalla
famiglia mafiosa locale, e tra gli altri anche dal Bruno, perché la vittima
disturbava gli affari mafiosi nel settore dell'edilizia
.

Anche Naimo
Rosario aveva riferito informazioni apprese in diverse occasioni e da diversi
soggetti sulla causale dell'omicidio, dovuto a motivi di costruzioni, di
terreni e di soldi, e sulla sua riconducibilità a una decisione della famiglia
mafiosa locale, capeggiata dal Riccobono
, persona con la quale
l'imputato, molto considerato nell'ambito di cosa nostra, era a diretto
contatto;

la decisione di uccidere
Enea era stata presa senza avvertire il vertice
dell'organizzazione mafiosa,
come il Nainno aveva appreso direttamente
da Riina Salvatore in occasione di un incontro nel 1985;

il collaboratore aveva
altresì appreso da Troja Antonino che questi
aveva ucciso l'Enea, insieme al Bruno e ad altri soggetti, per ordine del
Riccobono. La Corte territoriale rilevava che le
dichiarazioni testimoniali di Enea Pietro non necessitavano di riscontri, una
volta positivamente superato il vaglio di credibilità e di intrinseca
attendibilità
;

che non era emerso alcun
motivo per cui l'Enea dovesse calunniare l'imputato, a distanza di 18 anni dal
delitto e dopo aver lasciato definitivamente i luoghi, quando il clima
intimidatorio era ormai superato;
che la reticenza iniziale
dell'Enea trovava logica spiegazione nelle minacce subite e nel timore di
ritorsioni verso i familiari;
che il particolare sulla
presenza in loco della Fiat 124 era stato riferito agli inquirenti fin
dall'inizio;
che il timore nutrito nei
riguardi del Bruno era giustificato dalla sua caratura criminale di
appartenente al clan mafioso del Riccobono, all'epoca ricercato per un altro
omicidio da lui commesso;
che le divergenze
riscontrabili rispetto alle primigenie dichiarazioni del'Enea erano minimali e
spiegabili col decorso del tempo;

che il movente
dell'omicidio indicato dall'Enea aveva trovato riscontro nelle indagini di
p.g., anche con riguardo alla controversia insorta con
la BPP e alle ragioni della stessa
;

che le dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia realizzavano la convergenza del molteplice e
provenivano da soggetti la cui credibilità era stata verificata in numerosi
processi, mentre gli aspetti di genericità del loro propalato trovavano
spiegazione nella natura de relato delle dichiarazioni e nell'assenza di
diretta partecipazione al delitto.

2. Ricorre per cassazione Bruno Francesco, a mezzo dei difensori, deducendo
con unico motivo violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione agli
artt. 546, 125, 192, 530 cod.proc.pen., 110, 575, 99 cod.pen..
Il
ricorso deduce la nullità assoluta della sentenza impugnata per inesistenza di una valida motivazione, essendosi il giudice
d'appello limitato alla pedissequa ripetizione delle argomentazioni del GUP,
rispetto alle quali l'unico elemento di difformità era costituito dalla diversa
valutazione dell'apporto fornito dai collaboratori di giustizia Mutolo, Onorato
e Nainno
. Dopo aver riportato la sequenza e i contenuti delle
dichiarazioni rese dal figlio della vittima, Enea Pietro, segnalandone gli
aspetti contraddittori e inattendibili, Lr/   

il ricorso rileva che la
sentenza d'appello aveva omesso di considerare che l'Enea, nelle sue
dichiarazioni iniziali oggetto della confidenza non verbalizzata, aveva
identificato il soggetto descritto come uno degli occupanti della vettura Fiat
124 che aveva notato in sosta verso le 7.30 del mattino, poco prima del
delitto, presso i bungalow dove era stato commesso l'omicidio, in un giovane
che due settimane prima si era intrattenuto a parlare con l'amico Cardinale Antonino nel bar "La plaia" di
Isola delle Femmine
, individuato dalla p.g. in Fanara
Giuseppe
, del quale l'Enea aveva successivamente ritrattato
l'identificazione;

deduce l'assenza di
riscontri dell'attribuzione della ritrattazione dell'Enea a un clima di omertà
e intimidazione smentito dallo stesso teste;

rileva l'inconsistenza del
movente del delitto indicato dal Mutolo a molti anni di distanza sulla base di
pretese informazioni de relato;

evidenzia le divergenze
riscontrabili nelle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e censura
l'avvenuto riconoscimento dell'imputato, da parte dell'Enea, a diciotto anni di
distanza dall'omicidio, dopo aver serbato un lungo e ingiustificato silenzio,
nonostante il Bruno fosse persona da lui sicuramente conosciuta.
Il ricorso riporta le
censure dedotte nei motivi d'appello alle quali la sentenza impugnata non aveva
dato risposta;

contesta l'affermazione
della Corte territoriale secondo cui i motivi di gravame si erano limitati a un
esame parcellizzato dei singoli elementi di prova senza considerare la valenza
di prova testimoniale che doveva riconoscersi alle dichiarazioni di Enea
Pietro, non necessitanti di riscontri esterni una volta superato il vaglio di
credibilità;

richiama la contestazione
articolata e globale degli argomenti che il giudice di primo grado aveva posto
a fondamento della sentenza di condanna, svolta nei motivia d'appello, e deduce
la circolarità delle dichiarazioni accusatorie provenienti dai componenti della
famiglia della vittima, che avevano tutti riferito quanto appreso dalla
medesima fonte, rappresentata da Enea Pietro, di cui la difesa aveva dimostrato
l'inattendibilità. 

Il ricorso lamenta la lettura
incompleta degli atti processuali da parte della sentenza impugnata, basata
esclusivamente sulle dichiarazioni di Enea Pietro, di cui censura la
valutazione frazionata, rilavando che il teste aveva taciuto per vent'anni la
circostanza della chiamata telefonica anonima, di natura minatoria, da lui
ricevuta con l'intimazione di cessare le ricerche sulle cause dell'omicidio del
padre, e di cui era rimasto ignoto l'autore
;

deduce l'assenza di
connessione tra l'omicidio di Enea Vincenzo e quello di D'Agostino Benedetto,
che il collaboratore Gaspare Mutolo aveva ascritto a una diversa causale,
scaturita dalla mancata esecuzione a regola d'arte dei lavori di costruzione
della villa di Spatola Bartolomeo;

censura la motivazione
della sentenza di condanna basata su congetture e moventi inesistenti, privi di
riscontro negli atti processuali,   nonchè il giudizio di affidabilità attribuito
alle dichiarazioni di Enea Pietro, autore di propalazioni deliranti;

rileva che la sentenza
impugnata non aveva precisato quali fossero le interessenze
tra l'imputato e la società B.B.P.,
lamentando il travisamento della
prova sul preteso sconfinamento territoriale (smentito anche documentalmente) nell'edificazione
del complesso turistico Costa Corsara, indicato
come causa della controversia con la vittima alla quale i soci della B.B.P. erano invece estranei, riguardando la lite esclusivamente i
rapporti tra Enea Vincenzo e i proprietari (gli eredi Cardinale) del terreno
confinante col lotto, edificato dall'Enea, interessato dal frazionamento e da
permuta parziale, lite che era stata definita in epoca antecedente il delitto
così da consentire alla vittima di sbloccare la vendita degli appartamenti, come
confermato dal coniuge dell'Enea
.

3. I difensori delle parti
civili costituite hanno depositato memorie con cui hanno chiesto che il ricorso
di Bruno Francesco sia rigettato o dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è
complessivamente infondato e deve essere rigettato, per le ragioni che seguono.

2. Priva di fondamento è,
anzitutto, la censura rivolta dal ricorrente alla sentenza impugnata di essersi
limitata a recepire e riprodurre acriticamente la motivazione della decisione
di primo grado, senza confrontarsi con le doglianze proposte avverso la stessa
dalla difesa dell'imputato nei motivi d'appello e senza rispondere in modo
adeguato alle relative ragioni di gravame. Dal raffronto testuale delle
decisioni di primo e di secondo grado emerge invece che la sentenza d'appello
ha affrontato ed esaminato il nucleo essenziale delle censure dell'appellante,
ed è pervenuta alla conferma dell'affermazione di colpevolezza dell'imputato
sulla scorta di una propria, autonoma, rilettura delle risultanze istruttorie,
che ha valorizzato particolarmente la fonte di prova rappresentata dalle
dichiarazioni testimoniali del figlio della vittima, Enea Pietro, che la
sentenza del GIP aveva utilizzato principalmente come elemento di riscontro
delle propalazioni dei collaboratori di giustizia Mutolo, Onorato e Naimo.
La motivazione della
sentenza gravata, sotto tale profilo, va dunque esente da censura; per scrupolo
argomentativo, deve comunque essere ribadito l'orientamento consolidato di
questa Corte, secondo cui il ricorso da parte del giudice d'appello alla
motivazione per relationem, facente riferimento a quella del provvedimento di
primo grado, deve ritenersi in via di principio consentito, e non produce
alcuna nullità, allorché le argomentazioni del provvedimento richiamato
risultino congrue rispetto alle esigenze giustificative di quello che le
recepisce, e dalla lettura di quest'ultimo emerga che il giudice d'appello ha
preso cognizione delle ragioni sostanziali del provvedimento di riferimento e le
abbia meditate e   ritenute coerenti con la sua decisione (Sez. 6
n. 53420 del 4/11/2014, Rv.   261839; Sez. 6 n. 48428 dell'8/10/2014, Rv.
261248).

In particolare, è stata
ritenuta legittima da questa Corte la motivazione per relationem della sentenza
di secondo grado che recepisca in modo critico e valutativo quella della
sentenza impugnata, limitandosi a ripercorrere e approfondire alcuni aspetti
del complesso probatorio oggetto di contestazione da parte dell'appellante,
omettendo di esaminare quelle doglianze dell'atto di appello che avevano già
trovato risposta esaustiva nella sentenza di primo grado (Sez. 2 n. 19619 del
13/02/2014, Rv. 259929), specie se le censure formulate nell'atto di
impugnazione non contengano elementi di sostanziale novità rispetto a quelle
già condivisibilmente esaminate e disattese dalla sentenza richiamata (Sez. 2
n. 30838 del 19/03/2013, Rv. 257056). L'osservanza di tali principi, ai quali
va data continuità, risulta verificata all'esito della lettura
coordinata delle due sentenze di merito che hanno condannato l'imputato per
l'omicidio di Enea Vincenzo, avendo la sentenza d'appello legittimamente
rivisitato e integrato, mediante una più puntuale valorizzazione della capacità
dimostrativa attribuita alla testimonianza di Enea Pietro, l'impianto
motivazionale della decisione di primo grado, che aveva già esaminato e
vagliato in modo esaustivo l'intero complesso dei dati probatori acquisiti a
carico del Bruno, e rispetto alle cui valutazioni le doglianze proposte nei
motivi d'appello non deducevano elementi di reale novità.

3. Le ulteriori censure
del ricorrente che sono dirette principalmente a criticare la credibilità
soggettiva di Enea Pietro e l'attendibilità intrinseca attribuita dalla
sentenza impugnata alle sue dichiarazioni - con particolare riguardo all'affidabilità del riconoscimento nella persona
dell'imputato di uno dei soggetti presenti a bordo dell'autovettura Fiat 124
che il teste aveva visto ferma in sosta nelle prime ore del mattino
dell'8.06.1982 nelle adiacenze del luogo (il lido balneare "villaggio
bungalow" di Isole delle Femmine) dove, in immediata successione
temporale, era stato consumato l'omicidio del padre, riconoscimento operato
dall'Enea per la prima volta nelle dichiarazioni rese il 9.05.2000
, a
diciotto anni di distanza dal fatto - non si confrontano adeguatamente col dato
testuale per cui la sentenza d'appello ha individuato nel narrato dell'Enea uno
degli elementi, per quanto rilevante, di prova della responsabilità del Bruno,
che si inserisce in un quadro dimostrativo più ampio e convergente, composto
anche dai contenuti delle propalazioni di tre collaboratori di giustizia e
dalle dichiarazioni degli altri familiari della vittima, ulteriormente
convalidato da elementi di riscontro tratti dagli accertamenti investigativi
compiuti dai carabinieri all'epoca del delitto, quadro la cui univoca
concludenza probatoria era già stata argomentata e valorizzata dal GIP nella
sentenza di primo grado. 

La Corte distrettuale ha verificato, con
argomentazioni congrue che si saldano a  quelle
del GIP, l'affidabilità complessiva delle dichiarazioni dei collaboratori di
giustizia Mutolo, Onorato e Naimo, già validata in altri processi, provenienti
da soggetti organicamente inseriti nell'organizzazione mafiosa di "cosa
nostra", con specifico riguardo all'autonomia reciproca delle rispettive
propalazioni de relato (frutto di informazioni e confidenze ricevute in tempi e
contesti diversi, da fonti primarie - quantomeno parzialmente - differenti) e
alla sussistenza del requisito della convergenza del molteplice sul nucleo
essenziale del narrato concernente il coinvolgimento dell'imputato nella
decisione e nell'esecuzione dell'omicidio, le causali del delitto e
l'indicazione dei relativi mandanti negli esponenti
della famiglia mafiosa locale, capeggiata da Riccobono Rosario, alla quale
apparteneva (anche) il Bruno, coi cui illeciti interessi economici la vittima
era entrata in conflitto nell'esercizio della sua attività imprenditoriale.


La sentenza impugnata ha
giustificato con la natura de relato delle informazioni riferite dai
collaboranti le imprecisioni, di (ritenuto) carattere non decisivo, ravvisabili
nelle loro dichiarazioni, e ha dato conto della sostanziale convergenza del
loro racconto con quello di Enea Pietro in ordine alle ragioni fondamentali
dell'omicidio del padre, dovute alla sua attività di impresario edile, e alla
causale "mafiosa" del delitto, in cui l'imputato era coinvolto in
veste di compartecipe del sodalizio criminale capeggiato dal Riccobono e di
soggetto direttamente interessato alle relative attività illecite. La Corte di
merito ha spiegato in termini che non presentano aspetti illogici (e, comunque,
certamente non manifestamente illogici), ma che hanno trovato anzi riscontro in
altre acquisizioni istruttorie, le ragioni della tardività del riconoscimento
dell'imputato - come uno degli occupanti della Fiat 124 ferma sul luogo del
delitto - operato da Enea Pietro solo nell'anno 2000, mentre nelle
dichiarazioni rese ai carabinieri nell'immediatezza del fatto (e che allora non
aveva voluto verbalizzare) il teste non aveva fatto riferimento al Bruno;

sul punto, la sentenza
d'appello ha valorizzato il clima di omertà esistente all'epoca e il timore
suscitato nel figlio della vittima dalle gravi intimidazioni che avevano
preceduto e seguito l'esecuzione dell'omicidio, e che lo avevano anche
personalmente riguardato, inducendo l'Enea a essere reticente con gli
inquirenti per evitare ritorsioni e non mettere in pericolo la propria vita e
quella dei suoi familiari, tanto da determinarsi a lasciare i luoghi e
trasferirsi altrove a seguito delle minacce di morte che aveva ricevuto qualora
non avesse smesso di cercare informazioni sulle ragioni dell'uccisione del
genitore;

il superamento, per
effetto del decorso di un ampio intervallo temporale e del mutato contesto
circostanziale, dell'originario clima di paura giustificato dalla caratura criminale del Bruno (allora latitante e ricercato
per un altro omicidio),
spiega dunque - secondo i giudici di merito - la
tardività della decisione di Enea Pietro di rendere   piena e
completa testimonianza su tutto ciò che aveva effettivamente visto la mattina
dell'omicidio, ivi inclusa la presenza in loco dell'imputato, persona che egli
non avrebbe avuto ragione di accusare falsamente a così tanti anni di distanza
dall'episodio criminoso. 

L'esistenza, all'epoca
dell'omicidio e subito dopo di esso, del clima di omertà e delle condotte
intimidatorie - descritte da Enea Pietro - che avevano riguardato tanto Enea
Vincenzo, che aveva dovuto subire danneggiamenti e incendi nei propri cantieri
prima di essere ucciso, quanto gli stretti congiunti della vittima, ha trovato
riscontro, secondo la conforme ricostruzione delle risultanze probatorie
operata sul punto da entrambe le sentenze di merito, sia nelle indagini di p.g.
allora svolte, sia nelle dichiarazioni testimoniali di altri componenti del
nucleo familiare della vittima, in particolare la moglie Cataldo Giuseppa e la
figlia Enea Maria Teresa, sui contenuti minatori delle telefonate anonime da
esse ricevute nei mesi successivi al delitto, in cui l'ignoto interlocutore le
aveva avvisate che se Enea Pietro avesse continuato a fare domande
sull'omicidio del padre avrebbe fatto la stessa fine del genitore; al riguardo
non sussiste, perciò, la circolarità degli elementi di riscontro lamentata dal
ricorrente, in quanto le circostanze appena indicate sono state riferite dagli
altri congiunti della vittima come frutto di propria scienza diretta, e non per
averle apprese de relato da Enea Pietro, e sono state perciò correttamente
valorizzate dai giudici di merito come elementi di conferma esterna del
racconto di quest'ultimo, che è stato adeguatamente vagliato nella sua
attendibilità intrinseca ed estrinseca.

4. La sentenza impugnata
non è dunque incorsa nei vizi di legittimità lamentati dal ricorrente, e la
condanna dell'imputato non è stata fondata dalla Corte distrettuale su una
lettura parziale e incompleta degli atti processuali, basata esclusivamente
sulle dichiarazioni, in tesi difensiva inaffidabili, di Enea Pietro, senza
fornire risposta ai motivi d'appello. 

La rilettura
delle risultanze istruttorie operata dalla sentenza d'appello non si pone, come
si è detto, in sostanziale contrasto con la motivazione della sentenza di primo
grado, avendo la Corte distrettuale ribadito la capacità dimostrativa delle
propalazioni dei collaboratori di giustizia che erano già state ampiamente
scandagliate e giudicate affidabili dal GIP, ed avendo riconosciuto autonoma
efficacia probatoria alle dichiarazioni testimoniali di Enea Pietro che già il
primo giudice aveva ritenuto attendibili e idonee a riscontrare, insieme agli
altri elementi apportati dalle dichiarazioni dei prossimi congiunti della
vittima e dalle emergenze investigative, le chiamate in reità effettuate a
carico dell'imputato dal Mutolo, dall'Onorato e dal Nainno.
 

Il nucleo
fondante e decisivo della prova della responsabilità dell'imputato  nell'omicidio di Enea Vincenzo è stato
individuato e argomentato da entrambe le sentenze di merito, sia pure con una
diversa accentuazione dell'importanza dell'una rispetto all'altra fonte dimostrativa,
nella convergenza fondamentale delle propalazioni de relato dei collaboratori
di giustizia, da un lato, e delle dichiarazioni testimoniali - frutto di
scienza diretta - del figlio della vittima, dall'altro, e nella capacità dei
rispettivi narrati di riscontrarsi reciprocamente sui dati essenziali della
partecipazione del Bruno al delitto e sulla causale mafiosa (di tipo locale)
dell'omicidio, idonea a spiegare il concorso dell'imputato alla relativa
commissione in qualità di appartenente alla famiglia mafiosa (allora capeggiata
dal Riccobono) i cui interessi illeciti erano entrati in conflitto con le
attività della vittima nel settore dell'edilizia. In relazione a tali elementi
essenziali della ricostruzione probatoria del fatto e della responsabilità
dell'imputato la sentenza impugnata ha esplicitato in modo congruo le ragioni
del proprio convincimento e si è confrontata con le doglianze dell'appellante,
costituenti sostanziale riproposizione degli argomenti difensivi già disattesi
dalla decisione di primo grado, ritenendole infondate sulla scorta di un
percorso motivazionale immune da vizi logico-giuridici, che si salda a quello
del GIP;

la verificata esistenza di
un vaglio complessivamente adeguato della capacità dimostrativa posseduta dagli
elementi portanti della ricostruzione accusatoria nei confronti del Bruno, che
risponde alle censure principali del ricorrente, comporta dunque l'assolvimento
dell'obbligo motivazionale gravante sul giudice di merito (e su quello
d'appello in particolare), il quale - come è stato chiarito con orientamento
costante da questa Corte - non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di
tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le
risultanze processuali, essendo sufficiente che, anche attraverso una
valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e
adeguato, le ragioni del proprio convincimento, dimostrando che ogni fatto
decisivo è stato considerato, così da potersi ritenere implicitamente disattese
le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano
logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 4 n. 26660 del
13/05/2011, Rv. 250900; Sez. 6 n. 20092 del 4/05/2011, Rv. 250105; Sez. 4 n.
1149 del 24/10/2005, Rv. 233187).

L'incensurabilità,
in sede di scrutinio di legittimità, dell'apparato motivazionale della sentenza
d'appello, che discende dalla riscontrata confutazione degli argomenti
costituenti l'ossatura principale dei motivi di gravame dell'imputato, toglie
perciò rilevanza alla doglianza - sulla quale la difesa ha particolarmente
insistito nel ricorso - diretta a censurare l'insufficienza o l'incongruenza
della risposta fornita dalla Corte territoriale alle critiche rivolte nell'atto
di appello all'individuazione, da parte di Enea Pietro, di una delle ragioni di
attrito tra il   padre e il Bruno, precedenti l'omicidio, nello
sconfinamento immobiliare del complesso turistico di proprietà di una società -
la B.B.P. - partecipata (anche) da parenti dell'imputato in danno del lotto
limitrofo edificato da Enea Vincenzo, 

che aveva pregiudicato le
successive operazioni di frazionamento catastale, di permuta e di vendita degli
appartamenti delle palazzine costruite dalla vittima, determinando l'insorgenza
di una lite e il fallimento della sua impresa;

l'accertamento
della reale dinamica della relativa vicenda, di natura civilistica, e del ruolo
del Bruno nella società coinvolta (B.B.P.), riveste infatti un obiettivo ruolo
secondario, e non decisivo, nella ricostruzione complessiva degli elementi di
prova acquisiti e valorizzati dai giudici di merito a carico dell'imputato.
5. Al rigetto
del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali; l'imputato, soccombente nei confronti delle parti civili, deve
inoltre essere condannato a rifondere alle stesse, i cui difensori sono
comparsi in udienza rassegnando le proprie conclusioni, le spese sostenute nel
presente giudizio, che si liquidano nelle misure rispettive indicate nel
dispositivo.

P.Q.M. Rigetta il ricorso
e condanna
il ricorrente al pagamento
delle spese processuali, nonché a rimborsare le spese sostenute per questo
giudizio dalle parti civili Enea Pietro, che liquida in C 4.059,80, di cui C
59,80 per esborsi ed C 4.000,00 per onorari, oltre spese generali (15%), iva e
cpa, e, cumulativamente, Cataldo Giuseppa, Enea Riccardo, Enea Rosalia, Enea
Maria Teresa, Enea Valerio, Enea Elisa, che liquida in complessivi C 8.000,00,
oltre spese generali (15%), iva e cpa. Così deciso il 6/10/2016


MICALIZZI MICHELE: genero di Riccobono.
MUTOLO GASPARE: elemento di spicco della famiglia di
Rosario Riccobono.
RICCOBONO ROSARIO: rappresentante di
Partanna Mondello nel 1975 e dal 1978. Suo fratello Giuseppe, a sua volta
rappresentante di Partanna-Mondello, venne ucciso il 27.7.1961. Condannato all'ergastolo.
Scomparso, forse vittima di lupara bianca nel 1982. era socio della cooperativa
edilizia Liberta'. Reggeva i contatti con alcuni membri della famiglia
Santapaola a Catania.
BADALAMENTI GAETANO (zu' Tanu)(**): capo
famiglia di Cinisi dal 1962 quando succede, pacificamente, a Cesare Manzella
rappresentante in seno alla commissione. Rappresentante della famiglia di
Cinisi nel 1975, viene espulso da Cosa Nostra nel 1978 per motivi oscuri. E'
attivo nel traffico degli stupefacenti anche dopo questa data, il 22.5.84,
infatti, viene colpito da mandato di cattura. Viene arrestato a Madrid
l'8.4.1984.
BADALAMENTI SILVIO: nipote di Gaetano,
assassinato il 2.6.1983.
BADALAMENTI VITO(**): di Gaetano. Arrestato con il padre
a Madrid l'8.4.84. Imputato per traffico di stupefacenti, mandato di cattura
22.5.84.
ALFANO PIETRO(**): Cugino di Gaetano Badalamenti.
Arrestato con Gaetano Badalamenti a Madrid l'8.4.84. Imputato per traffico di
stupefacenti, mandato di cattura 22.5.84.
D'AGOSTINO EMANUELE: elemento di spicco
della famiglia di S.Maria del Gesu'. Fedelissimo di Bontate, scompare dopo la
morte di quest'ultimo. Coinvolto nel traffico di stupefacenti.
D'AGOSTINO ROSARIO: catturato mentre si
nascondeva con Giuseppe Grado nella villa di questi a Besano. Era il
guardaspalle di quest'ultimo. Traffico di stupefacenti.
D'AGOSTINO ROSARIO: di Ignazio e di Bonanno
Caterina, Palermo ?/6/1946. Detenuto (~).
GALLINA STEFANO: membro della famiglia di Cinisi,
ucciso il 1.10.1981.



























Bruno Francesco, BRUNO GIOVANNI D'AGOSTINO BENEDETTO, BRUNO PIETRO, CARDINALE, CARDINALE RITA BARTOLA, ENEA VINCENZO. ENEA PIETRO. VASSALLO GIUSEPPE. COSTA CORSARA. BBP, GALLINA, LUCIDO, pomiero, UVA, 

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